
Patologia degenerativa della colonna vertebrale: Approfondimenti
7 Dicembre 2018 by Team Raco
Questa è una sezione dedicata ad approfondire alcuni dei temi trattati in riferimento alla Patologia degenerativa della colonna vertebrale. Si rimanda alla pagina principale per una trattazione completa sull’argomento. Di seguito è possibile trovare informazioni dettagliate in merito a:
1. Trattamenti alternativi alla microdiscectomia per ernia del disco:
– Discectomia laser
– Decompressione discale percutanea con laser (PLDD)
– Coblazione discale
– Erniectomia percutanea
– Laminectomia (Laminotomia)
– Artrodesi intersomatica2. Decompressione e stabilizzazione vertebrale: decorso post operatori
3. Classificazione della scoliosi
– Genesi della scoliosi
– Sede della curva primaria
– Entità della deviazione angolare della curvatura primaria
– Età di esordio della malattia4. Scoliosi infantili
5. Scoliosi degenerativa dell’Anziano
6. Scoliosi: sintomi e dolore
7. Eziopatogenesi della scoliosi ed epidemiologia
1) Trattamenti alternativi alla microdiscectomia per ernia del disco
Oltre alla discectomia, cioè l’intervento chirurgico di rimozione del disco, alla microdiscectomia tradizionale ed endoscopica, gli specialisti della colonna vertebrale hanno messo a punto alcuni trattamenti alternativi, che in casi molto selezionati possono dare buoni risultati. Le terapie in questione sono rappresentate dalla discectomia laser, la decompressione discale percutanea con laser (PLDD), la coblazione discale, l’erniectomia percutanea.
La laminectomia (variante “laminotomia”) e l’artrodesi intersomatica a differenza dei precedenti sono interventi considerati “salvage procedure” in caso di ernie multiple recidivanti di osteo discoartrosi diffusa o di plurimi precedenti trattamenti di ernie discali.
Ogni operazione alternativa per l’ernia del disco prevede una differente convalescenza e tempi di recupero più o meno lunghi.
Qui sotto vengono descritte procedure mininvasive che permettono al paziente di tornare a casa il giorno stesso dell’intervento e possono essere considerati a tutti gli effetti come alternative ad un trattamento riabilitativo. Al contrario, interventi complessi come l’artrodesi intersomatica (che d’altro canto si applicano a tipi di pazienti diversi) richiedono un impegno importante nella riabilitazione post operatoria del paziente.
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Discectomia laser
La discectomia laser è una tecnica ormai in disuso, mini invasiva ed economica. Attraverso la discectomia laser, gli specialisti della colonna vertebrale assicurano al paziente un decorso post operatorio veloce e senza dolore. Dopo l’operazione di discectomia laser per ernia del disco i tempi di recupero sono ridotti al minimo indispensabile.
L’intervento di discectomia laser viene praticato ambulatorialmente. Un ago viene introdotto nello spazio discale e così viene fatta passare la fibra laser. Il nucleo polposo viene vaporizzato dall’energia della luce laser e in questo modo viene drasticamente ridotta la pressione intravertebrale, che è causa della sintomatologia.
Il nucleo polposo è la parte più interna del disco intervertebrale, racchiuso dall’anulus fibrosus, un anello di tessuto elastico e stratificato.
Chiaramente, la discectomia laser non è applicabile ad un’ernia del disco espulsa (quelle che vengono generalmente operate), quindi l’applicazione di questa tecnica è estremamente ridotta.
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Decompressione discale percutanea con laser (PLDD)
La decompressione discale percutanea con laser (PLDD) è un intervento di chirurgia, caratterizzato da bassa invasività. Come indica la sua denominazione, questo trattamento viene realizzato da radiologi, raramente da specialisti della colonna vertebrale facendo uso di raggio laser.
Il procedimento della decompressione percutanea con laser viene eseguito in ambulatorio praticando al paziente una semplice anestesia locale. Con l’ausilio della navigazione radiologia viene introdotta nell’ernia del disco una cannula cui è applicato un ago. Nella cannula sono inserite delle fibre ottiche che permettono di orientare un laser speciale sulla parte del nucleo del disco colpita dall’ernia. L’energia termica del laser fa sì che il liquido del disco sia prosciugato dando luogo a un effetto di sottovuoto parziale che allontana l’ernia dal nervo.
Il risultato della decompressione discale è molto simile alla discectomia percutanea con laser, si applica agli stessi pazienti, pochi, peraltro quelli che specialisti della colonna tratterebbero con metodiche conservative. I risultati sono frequentemente transitori, raramente si ottiene la guarigione del paziente.
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Coblazione discale
La coblazione discale è una tecnica utilizzata negli anni Novanta, oramai in disuso, mai validata nella letteratura scientifica internazionale. E’ adatta a ernie non gravi, cioè ernie che ma non hanno superato la barriera dell’anulus che racchiude il nucleo polposo.
In questi casi lievi la condizione patologica può irritare le radici dei nervi e dare luogo a dolore resistente alla terapia farmacologica. Pazienti trattati con questa tecnica si avvantaggerebbero maggiormente dei trattamenti fisioterapici e riabilitativi.
Il termine “coblazione” deriva dall’espressione inglese “cool ablation”, cioè “ablazione fredda”. A differenza del laser e della radiofrequenza, la coblazione discale non genera calore. Infatti, viene realizzata attraverso un “campo al plasma”, cioè costituito da particelle ionizzate che hanno il potere di dissociare le molecole. In questo modo avviene la disintegrazione dei tessuti senza causare alcun danno alle strutture anatomiche circostanti. È il nucleo polposo colpito dall’ernia che viene in parte vaporizzato eliminando così un ammortizzatore naturale quale il nucleo polposo senza agire direttamente sull’ernia che comprime la radice, per questa ragione il trattamento è spesso inefficace e di breve durata.
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Erniectomia percutanea
L’erniectomia percutanea è una tecnica utilizzata per far fronte alla sciatalgia provocata da ernia del disco. È adatta a casi di ernia contenuta e consiste in uno svuotamento parziale del disco intervertebrale, con tecniche meccaniche, fisiche o chimiche, in modo che avvenga il regresso spontaneo della protrusione erniaria. Anche questa tecnica sacrifica il nucleo polposo pur di ottenere una decompressione indiretta della radice nervosa.
Per procedere con l’attuazione dell’erniectomia percutanea è necessario eseguire prima una discografia con mezzo di contrasto in day surgery. La discografia è una procedura che rientra nell’ambito della radiologia interventistica, grazie alla quale è possibile valutare le condizioni dei dischi intervertebrali. Queste procedure vengono frequentemente eseguite da radiologi, non specialisti della colonna vertebrale.
Il mezzo di contrasto è una sostanza che viene utilizzata per evidenziare alcuni dettagli in un’immagine radiologica. Nel caso della discografia il mezzo di contrasto serve per mettere in luce la presenza nei dischi di fissurazioni anulari, che sono segno di ernia.
Se è presente una fissurazione, il mezzo di contrasto iniettato nel disco intervertebrale fuoriesce ed è così reso manifesto il quadro patologico.
Se il paziente è affetto da un’ernia di tipo fibroso nel disco viene introdotta una cannula attraverso la quale vengono fatte passare delle pinze miniaturizzate che sotto controllo radiologico asportano il tessuto nucleare degenerato.
La tecnica della discografia è stata oggigiorno quasi del tutto abbandonata, perché dolorosa e superata da altri esami quali la RM in grado di visualizzare in maniera atraumatica lo stato di degenerazione discale ed eventuali fissurazioni dell’anulus presenti.
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Laminectomia (Laminotomia)
La laminectomia è un intervento chirurgico che consiste nell’asportazione di una lamina vertebrale allo scopo di ridurre la compressione del midollo spinale oppure di nervi spinali ottenendo l’ampliamento delle dimensioni del canale vertebrale. Quando sono coinvolte anche le radici nervose, alla laminectomia si associa una foraminotomia e cioè l’apertura del forame dove passa la radice nervosa.
La lamina è una struttura anatomica della colonna che si estende dai peduncoli alla base dell’arco vertebrale fino al processo spinoso, prolungamento ossea che serve per l’attacco dei muscoli e dei legamenti.
Gli specialisti della colonna vertebrale nell’ambito della neurochirurgia ricorrono alla laminectomia per la cura di una stenosi o di un’abnorme curvatura del rachide solo quando le terapie conservative non hanno dato risultati apprezzabili.
I neurochirurghi con competenza di tecniche mini-invasive come il prof. Antonino Raco e la sua équipe raramente ricorrono a questo intervento, molto aggressivo e distruttivo sull’apparato osteo-muscolo-legamentoso. Molto più frequentemente praticano laminotomie preservando le spinose, i legamenti sovraspinoso e interspinoso e la muscolatura adiacente.
Tutto ciò permette al paziente un tempo di recupero più breve, riduzione del dolore post-operatorio, conservazione della stabilità della colonna.
La laminectomia è un intervento chirurgico che viene eseguito in anestesia generale e può riguardare il tratto cervicale, dorsale o lombare affetti da stenosi. Prima del giorno dell’intervento il paziente viene sottoposto a tutti gli accertamenti diagnostici necessari. La dimissione del paziente avviene qualche giorno dopo l’operazione, ma i tempi di recupero si protraggono per alcune settimane durante le quali è necessaria un’importante attività di fisioterapia.
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Artrodesi intersomatica
L’artrodesi intersomatica è un’operazione chirurgica che viene eseguita da neurochirurghi specialisti della colonna vertebrale nei casi di recidive multiple di ernie discali e gravi discopatie degenerative. Si tratta di un intervento indicato quando ogni altra terapia conservativa ha fallito e la qualità della vita del paziente è pesantemente condizionata da quadro patologico in essere.
L’obiettivo dell’intervento di artrodesi intersomatica è ristabilire la corretta distanza tra dischi intervertebrali ormai usurati, ormai inadatti a svolgere la loro funzione e ad assorbire gli urti, che causano compressione del midollo spinale e dei nervi spinali dando luogo a dolori insopportabili.
Per eseguire l’artrodesi intersomatica vengono utilizzati impianti come viti, barre, gabbie, che possono essere in materiale amagnetico (titanio) o non metallico (carbonio). Ciò per poter poi consentire ai pazienti di essere sottoposti ad esami RM se necessari. Nell’artrodesi intersomatica è sempre necessario un innesto di osso: generalmente è utilizzato fosfato tricalcico o una matrice ossea che viene posizionata all’interno di una gabbia in titanio, carbonio o peek, a sua volta posizionata nello spazio intersomatico dove è stato precedentemente rimosso il disco degenerato.
L’artrodesi intersomatica è un intervento di alta chirurgia che deve essere eseguito in centri d’eccellenza da neurochirurghi specialisti della colonna vertebrale con una considerevole esperienza alle spalle. Si tratta, infatti, di un intervento complesso.
Durante l’operazione il neurochirurgo asporta i dischi intervertebrali usurati e altre porzioni ossee o legamentose e posiziona le cage che sostituiscono gli elementi rimossi. Le cage sono delle “gabbiette” che svolgono le funzioni degli originari dischi intervertebrali del paziente.
L’intervento di artrodesi intersomatica viene eseguito in anestesia generale. Il decorso post operatorio è caratterizzato da una sintomatologia dolorosa modesta e da un rapido recupero, se l’intervento è praticato con tecnica mini-invasiva. Il paziente, già dal giorno successivo all’ intervento, viene mobilizzato ed è in grado di deambulare autonomamente.
Il prof Raco è considerato un esperto internazionale in tali tecniche, tant’è che è stato invitato per tre volte dall’A.A.N.S. (American Association Neurological Surgeons) quale International Spine Master.
Il paziente deve affrontare quindi un periodo di riabilitazione per tornare alle normali attività della vita quotidiana, evitando i carichi per i primi 40 giorni. L’operazione di artrodesi intersomatica per ernie del disco recidive comporta una convalescenza ridotta e tempi di recupero brevi, purchè eseguita con tecnica mini-invasiva, senza quindi danno muscolare e legamentoso.
2) Decompressione e stabilizzazione vertebrale: decorso post operatorio
La convalescenza dopo un intervento di stabilizzazione vertebrale può essere più o meno prolungata a seconda delle condizioni del paziente, delle caratteristiche della sua patologia e soprattutto del tipo di intervento che è stato praticato.
Se l’intervento è stato praticato con tecnica mini-invasiva, le perdite ematiche saranno ridotte, i tempi di degenza più brevi e la ripresa più veloce. Quando non c’è lesione del midollo spinale si prevede un periodo di ospedalizzazione e successivamente un periodo in cui è necessario evitare sforzi e bisogna sottoporsi a sedute di riabilitazione.
Durante il periodo di convalescenza dopo la stabilizzazione della colonna vertebrale è bene che il paziente si astenga dal fumo che può influenzare negativamente il processo di guarigione delle vertebre coinvolte. Anche l’alimentazione deve essere curata perché è necessario assumere quantità bilanciate di proteine, calcio, fosforo e vitamina D.
Grazie ai trattamenti mini invasivi della colonna vertebrale la convalescenza dopo un intervento di stabilizzazione vertebrale è diventata più veloce e i dolori del decorso post operatorio sono notevolmente ridotti.
Dopo un intervento di decompressione del canale vertebrale, il paziente deve trascorrere qualche giorno in clinica. Normalmente viene fatto alzare già la mattina dopo l’intervento, ma il ricovero dura qualche giorno e il paziente deve restare a riposo. Successivamente per due mesi dovrà avere cura di evitare sforzi e attività che stressino la colonna vertebrale. Sono necessari esami di controllo per monitorare il processo di guarigione ed evidenziare tempestivamente eventuali problemi.
3) Classificazione della scoliosi
Le diverse forme di scoliosi possono essere classificate in modo differente in base al parametro di riferimento preso in considerazione.
Una categoria a parte è rappresentata dalla scoliosi degenerativa con esordio dei sintomi in età adulta, legata all’osteoporosi e a una degenerazione discale asimmetrica con sublussazione rotatoria di unità funzionali del rachide. Questa patologia può essere trattata con un intervento chirurgico mininvasivo per la scoliosi in età adulta.
- Genesi della scoliosi
In base alla genesi della scoliosi possono essere distinte la scoliosi idiopatica, quella congenita e forme di scoliosi acquisita.
La scoliosi idiopatica è la variante più frequente e rappresenta tra l’80 e l’88% di tutti i casi. La denominazione risale al lavoro di Kleinberg del 1922 ed è riferita a tutti quei casi di scoliosi in cui non è possibile individuare una condizione patologica che abbia determinato le alterazioni strutturali della colonna vertebrale.
Le varianti congenite sono dovute a una malformazione delle vertebre che insorge durante la vita intrauterina.
Infine, le scoliosi acquisite sono conseguenza di traumi, patologie del sistema nervoso, disturbi reumatici, neoplasie oppure dismetrie degli arti inferiori.
- Sede della curva primaria
Un ulteriore criterio di classificazione delle forme di scoliosi è la sede della curva primaria, cioè l’altezza della curva più ampia, rigida, strutturata e con la rotazione dei corpi vertebrali più accentuata. La curva di compenso o secondaria, invece, è quella con angolazione e rotazione inferiore. Le curve secondarie permettono di mantenere l’orizzontalità dello sguardo perché garantiscono il riallineamento della colonna sopra e sotto la curva primaria.
La classificazione delle scoliosi in base alla sede della curva primaria è detta topografica. Si distinguono cinque varianti:
- scoliosi lombare;
- scoliosi dorsolombare;
- varianti combinate dorsali e lombari;
- scoliosi dorsale;
- scoliosi cervicodorsali.
- Entità della deviazione angolare della curvatura primaria
La classificazione angolare delle scoliosi è quella basata sull’entità della deviazione angolare della curva primaria e delle curve secondarie. Per misurare questa deviazione viene utilizzato il sistema dell’angolo di Cobb, che definisce l’angolo tra le due rette tangenti alla faccia superiore e a quella inferiore della prima e dell’ultima vertebra coinvolte dalla curva del rachide.
La suddivisione delle forme di scoliosi basata sulla deviazione angolare individua tre categorie:
- scoliosi con angolo di Cobb inferiore a 25º;
- scoliosi con angolo di Cobb tra i 25º e i 45º;
- scoliosi con angolo di Cobb maggiore di 45º.
- Età di esordio della malattia
La scoliosi può essere classificata in base all’età del paziente in cui viene per la prima volta osservata la patologia (classificazione cronologica). Si distinguono quindi la scoliosi neonatale, quella infantile, quella giovanile e infine quella adolescenziale.
Un approfondimento a parte deve essere dedicato alla scoliosi infantile e alla scoliosi degenerativa dell’adulto. Quest’ultimo tipo di scoliosi è caratterizzata dall’esordio dei sintomi in età adulta. Viene collegata all’osteoporosi e a una degenerazione discale asimmetrica accompagnata da sublussazione rotatoria di unità funzionali del rachide. In questi casi può essere risolutivo un intervento chirurgico mininvasivo per la scoliosi in età adulta.
4) Scoliosi infantili
Le scoliosi infantili insorgono in un’età compresa tra 1 e 7 anni. Si tratta di forme di scoliosi che nell’ambito dell’ortopedia si distinguono per la particolare aggressività. Infatti, gli anni dell’infanzia sono quelli del maggiore accrescimento staturale. Con lo sviluppo veloce dell’altezza del bambino peggiora parallelamente l’entità della scoliosi. Talora la patologia ha esordio nei primi mesi di vita, quando il soggetto ancora non cammina.
L’incidenza delle scoliosi infantili si attesta al 2 per mille ed è più frequente nei maschi. Rappresenta tra l’1 e il 2% di tutti i casi di scoliosi.
Nel primo anno di vita avviene l’accrescimento staturale più importante della crescita. In questo periodo il bambino acquisisce ben 25 centimetri di statura. Nemmeno durante l’adolescenza può essere rilevato un incremento così congruo dell’altezza del soggetto. Quando è presente scoliosi infantile questo periodo risulta drammatico. Infatti, il bambino inizia a camminare al compimento del primo anno, ma a causa della patologia la schiena collassa. Nei casi più gravi la deviazione della colonna può arrivare a 80 – 100º.
Le scoliosi infantili hanno importanti ripercussioni su tutto l’organismo e condizionano pesantemente la vita del paziente. Il primo organo che può essere danneggiato durante l’evoluzione di una scoliosi infantile è il polmone. Viene compresso dalla curva del rachide e di conseguenza non trova lo spazio sufficiente per svilupparsi. Se non si interviene correttamente questa condizione crea problemi di ventilazione polmonare permanenti.
Un altro organo fortemente minacciato dalla scoliosi infantile è il midollo spinale che può essere compresso a causa della deviazione della colonna. Nei casi più gravi insorge paraplegia, cioè paralisi degli arti inferiori.
A causa della patologia la deambulazione e l’aspetto del bambino sono compromessi in modo importante, provocando ripercussioni anche sul piano psicologico. La diagnosi di scoliosi infantile deve avvenire tempestivamente ed è necessario rivolgersi a centri specializzati dove operano professionisti con una buona esperienza nel trattamento di questa patologia.
5) Scoliosi degenerativa dell’Anziano
Negli ultimi venti anni sempre più frequentemente si è appalesata una patologia degenerativa del rachide precedentemente misconosciuta, nota nella letteratura anglosassone come “scoliosi de novo”, in Italia come scoliosi degenerativa dell’anziano.
Perché si possa formulare questa diagnosi lo specialista di colonna deve certificare che il paziente non sia stato affetto da scoliosi in età giovanile.
Questa patologia è rapidamente progressiva con rotazione delle vertebre e spesso cifosi lombare. Il paziente presenta un’autonomia di cammino ridotta, con sciatalgia e intenso dolore lombare.
6) Scoliosi: sintomi e dolore
L’insorgenza e l’evoluzione della scoliosi avviene in modo silente, senza determinare sintomi come dolore o fastidi. Per scongiurare il rischio di una diagnosi tardiva della scoliosi, è necessario prestare attenzione negli adolescenti in età puberale ad alcuni sintomi prodromici, anche in assenza di dolore:
- deviazione laterale della linea delle apofisi spinose;
- alterazione del parallelismo tra le linee che congiungono le spalle e le creste iliache; disallineamento delle scapole; nelle bambine, differenze tra le due mammelle nell’altezza e nel volume;
- asimmetria nel triangolo della taglia, cioè nella figura ideale definita dalla linea del torace e dei fianchi;
- la presenza di strapiombo del tronco rispetto al bacino;
- presenza di gibbo costale quando il soggetto flette il busto in avanti.
Nell’età adulta la scoliosi si manifesta con sintomi che comprendono dolore alla schiena e alle gambe che ostacola la deambulazione, affaticamento, la presenza di costole che sporgono da un lato della colonna vertebrale, il busto pendente da un lato, l’effetto visivo di avere una gamba più corta dell’altra.
Per affrontare e risolvere il quadro patologico della scoliosi degenerativa con esordio dei sintomi durante gli anni della maturità è possibile prendere in considerazione l’intervento chirurgico mininvasivo per la scoliosi in età adulta.
7) Eziopatogenesi della scoliosi ed epidemiologia
L’eziopatogenesi della scoliosi pone ancora interrogativi irrisolti. Non è ancora stata chiarita dalla ricerca scientifica. Sono però stati messi in evidenza alcuni fattori eziologici come disturbi biomeccanici, interazioni alterate tra l’ormone della crescita e la melatonina, sesso, familiarità, alterazione su base genetica della membrana delle cellule associata con alterazione del collagene e dello scheletro, anomalie del sistema nervoso centrale, modificazioni dello schema corporeo.
Si stima che approssimativamente nel 20% dei casi la scoliosi sia secondaria a un’altra patologia. Il restante 80% delle forme di scoliosi è costituito dalla variante idiopatica. È stato calcolato che nella popolazione in una percentuale variabile tra lo 0,93% e il 12% si manifesta scoliosi idiopatica dell’adolescenza con angolo di Cobb superiore ai 10º. Nei casi in cui l’angolo di Cobb sia inferiore ai 10º non si può parlare di una diagnosi di scoliosi vera e propria. Il valore riscontrato in letteratura si attesta tra il 2 e il 3% e i dati suggeriscono che ci siano variazioni epidemiologiche legate alla latitudine.
Nel 10% dei casi è possibile mantenere un trattamento conservativo della scoliosi, mentre in una percentuale tra lo 0,1 e lo 0,3% è necessario intervenite chirurgicamente. Una tecnica di ultima generazione che permette di ridurre notevolmente il dolore e la durata del decorso postoperatorio è quella della chirurgia vertebrale mininvasiva che deve essere eseguita in centri d’eccellenza dai migliori chirurghi della colonna vertebrale. Si tratta di un intervento adatto a correggere la scoliosi in età adulta, prevede generalmente un tempo anteriore o laterale, con una piccola incisione chirurgica addominale retroperitoneale, in cui si posizionano 2-3 gabbie, ed un secondo tempo percutaneo posteriore con l’inserimento di molte viti intrapeduncolari e successiva derotazione della colonna.
Deformità scoliotica: correzione con approccio anteriore,
posizionamento di gabbie a livello L4-L5, L3-L4, L2-L3 e viti con metodica percutanea da D9 a L5
Questa procedura, che può essere praticata anche nei pazienti anziani perché assolutamente mini-invasiva, mette fine ai sintomi invalidanti e ai dolori lombari e sciatalgici che affliggono i pazienti.